Lettori fissi

domenica 20 dicembre 2015

L'oste che voleva parlare.



L'oste che voleva parlare.

In un pomeriggio d’inverno, in quelli dove la nebbia è a mezz’aria e luce bianca e piatta confonde i lineamenti delle persone, mi recai in un'osteria in provincia di Modena.
Mi accomodai in un tavolo vuoto e spazzai, con il palmo della mano, tutte le briciole che c’erano sull’orrenda cerata celeste, la televisione, tenuta senza volume, trasmetteva immagini disordinate.
Ordinai un bicchiere di vino che l’oste, con fare stanco, mi portò immediatamente.
Era un anziano signore le cui mani grosse e rovinate tradivano un lungo passato di lavoro e di fatica.
Fissai il suo viso che, a differenza di quello degli abitanti di quel paese, era tridimensionale e particolarmente affilato. Era un vecchio uomo annoiato dalla poca frequenza di clienti.
Lui mi osservò con attenzione, classificandomi come un forestiero troppo ben vestito per essere lì.
Non aspettò il mio ringraziamento e disse, senza staccare gli occhi dal bicchiere, approfittando della mia inaspettata compagnia:
“ Gli esperti viticoltori sostengono che per produrre il vino migliore è necessario maltrattare la vigna un po'.
Una volta trascurata, assetata, si stimolano le radici a scavare e penetrare nei substrati più profondi del terreno per mineralizzarsi maggiormente, e continuare a sopravvivere.
Solo in questo modo si ottengono un frutto pregiato e di conseguenza un vino migliore.
L’apparente noncuranza, dei contadini esperti, conduce alla produzione del nettare più dolce, di contro un inefficace assillo rende le piante deboli, vulnerabili e soggette alle numerose malattie.
La tua vita, probabilmente, è un veloce tratteggio di pennelli che ti fa apparire come un quadro di un pittore realista. Un insieme di colori, come il rosso cupo del vino e il grigio del tuo impermeabile,e ancora il verde dei miei occhi o il bianco dei miei pochi capelli.
I meandri della tua mente, e quelli della mia, come le radici dei filari delle viti, hanno solcato i terreni più profondi, e ombrosi, dei sogni per ossigenarsi e cercare le domande, quelle giuste intendo. Spero solo che tu sia riuscito ad avere la lucidità di trovare anche le risposte. Come me”.


sabato 12 dicembre 2015

IL MUSICISTA.





"Pensai che in ognuno di noi risiede una sfera di sfocata intimità, difficile a trasmettere con le parole, una zona d'ombra che ai più sciocchi non si manifesta nemmeno.
Chi, però, ne acquistava consapevolezza, tentava di trovarne sollievo cercando di trasmetterla.
Ma come spesso non era chiara a noi, mi chiedevo, come lo potesse diventare per gli altri?
La mia musica amplificava i sensi di chi ascoltava e faceva vedere, da lontano, quel segreto terreno dal quale germogliavano fiori.
Forse Sandro aveva visto, e sapeva di non poter capire, per questo mi abbandonò così velocemente, arreso a ciò che era inevitabile..."