Lettori fissi

martedì 18 agosto 2015

SCRAMBLED EGGS IN JAIL


SCRAMBLED EGGS IN JAIL

È Pilar, la cuoca. Sono quarantadue anni che vive in America e non ha ancora imparato una parola di inglese. Sono quarantadue anni che prepara il cibo per i carcerati di questa prigione e che non riesce a trovare le parole per dire un “addio” come si deve.
D’altronde come si fa a dire “addio” come si deve?
Le sue uova strapazzate hanno un profumo che stordisce, riescono a farmi venire l’acquolina in bocca, nonostante tutto.
- Adios, amigo Sam, adios...
- Adios Pilar, adios...
Non una lacrima, non un sospiro, non un trasalimento.
Questa donnona messicana fa questo lavoro da troppo tempo.
Me la immagino alzarsi la mattina, sgridare i bambini, togliere la bottiglia di rum dalle labbra del marito, sciacquarsi le ascelle, prendere la corriera e venire in prigione.
Quando arriva nelle cucine inizia a pelare quintali di patate, buttare i broccoli nell’acqua bollente, spennare intere generazioni di polli e tacchini, rompere migliaia di uova e servire i pasti ai rifiuti della società.
Poi ogni tanto capita il condannato a morte.
Oggi, nello specifico, tocca a me.
- Ehm... están muy buenos los huevos... - Chissà se capisce?
 Chissà che ho detto? Beh! Anche se non ha capito non credo sia il peggiore dei problemi di questa breve giornata...

Sono le tre di pomeriggio, mi sono sempre chiesto...
....

lunedì 17 agosto 2015


OLIVIER

. Adesso desidero vivere e guardare il mondo che c’è oltre l’obiettivo. Innamorarmi della luce, osservare come illumina, talvolta dolcemente, talvolta violentemente, i volti della gente, il mare, le mie mani. Voglio guardare il cielo e il mondo, senza fotografarlo... senza condividerlo con altri. Guardarlo e tenerlo solo per me.
Tradendo la mia amante.
Dormo spesso lungo il Tapis-Vert, giro tra i boschi, mi fermo sotto gli alberi. E penso.
Ogni tanto mi incanto ad ammirare il “bacino di Apollo”. È la fontana più bella di Parigi. Osservo quel dio che esce dalle acque, i cavalli dall’espressione furiosa, i tritoni che soffiano dentro le loro conchiglie per annunciare il suo arrivo. Apollo purificava dai mali fisici e morali. Apollo illuminava il cielo, dominava la luce. La luce...
Come Ulisse mi sono fatto crescere la barba e i capelli lunghi. Come Ulisse ha combattuto contro mostri e creature dell’Ade, così io ho immortalato i potenti e mi sono destreggiato, con abilità, tra i malvagi.

Ma a differenza di Ulisse che, partito controvoglia per combattere la guerra di Troia, le ha tentate tutte per tornare nella sua Itaca, io ho scelto di non tornare. Ho scelto di lasciarmi andare e di appartenere a questo mondo. In maniera assoluta. Nell’unica maniera possibile.

giovedì 13 agosto 2015

JENNY E LA METAMORFOSI DI NARCISO



JENNY E LA METAMORFOSI DI NARCISO


Tutte le mattine, da quindici anni a questa parte, esco di casa e prendo il 35 barrato. Mi fermo dieci minuti alla fermata del tram ad ascoltare i musicisti zingari che sanno suonare solo il “Canone in Re maggiore” di Pachelbel e do loro una monetina.
Raggiungo l’ufficio e lavoro sodo, guadagno uno stipendio dignitoso e passo le vacanze in montagna con i miei genitori, festeggio i natali e i compleanni e vado a dormire insoddisfatta. Questo succede perché non mi piaccio.
Ho avuto una famiglia unita, un’infanzia all’insegna del profumo d’amore, un paio di fidanzati, un cane. Ho avuto tutto quello che si dovrebbe avere, ma mai la bellezza.
Ho studiato parecchio, mi sono massacrata al liceo classico, alla facoltà di filosofia e ai vari master. Hanno cercato di annientarmi con esami, prove e test, ma sono riuscita a sopravvivere a tutto.
Ho imparato a guardare le cose sotto ogni prospettiva, prendere il bene dal male, e il male dal bene . Considerare tutto e il contrario di tutto.
La mia testa ha macinato riflessioni e pensieri, astratti e concreti; ho anche scritto un saggio che è stato pubblicato dalla casa editrice universitaria. Un saggio che viene preso a modello dagli studenti... pensa un po’!
Mi è stato insegnato come penetrare a profondo nei dialoghi e soppesare le parole, capire prima degli altri... e usare quest’arma a mio favore. Mi è stato insegnato di tutto. Troppo.

#estratti #uovasbattute #elmisworld #christianocerasola #o2 #writer #summer2015 #beardmen


mercoledì 12 agosto 2015

giovedì 6 agosto 2015

FRIDA ROBERTS



FRIDA ROBERTS


I walk a lonely road
The only one that I have ever known
Don’t know where it goes
But it’s home to me and I walk alone...”

È la quarta volta che mettono questa canzone dei Green Day, mi sta uccidendo!
Si dev’essere inceppato il cd.
- Signorina?
- Si?
- Ehm... guardi che si dev’essere rotto il vostro lettore cd... continua a bloccarsi su Boulevard of broken dreams.
- Sissignora, ha ragione... è che mi piace tanto questa canzone che l’ascolterei all’infinito! Ora vado a rimediare... cosa desidera nel frattempo?
- Uhm, vediamo... una Coca-Cola light, delle uova con la pancetta e un paio di fette di pane tostato... ah, e del caffè... nero, per favore.
- Ok, torno subito.
- Ah, un’altra cosa: che giorno è oggi? Il ventisette o il ventotto?
- Uhm... oggi è il ventisette, il ventisette luglio. Non vuole che le porti USA Today, per caso?
- No, no... grazie, preferisco di no.

Il ventisette luglio di un famigerato duemilaundici, ecco che giorno è oggi. È già più di un mese che passo di motel in motel. Mi sono sempre piaciute le gas-station sulle autostrade, ma mai avrei pensato di passarci così tanto tempo.
Al momento non mi sembra di avere alternativa, è già un miracolo che non mi abbiano vista. Eppure ho anche smesso di indossare la parrucca nera e gli occhiali... chissà perché, poi. Magari, dentro di me, spero di essere riconosciuta. Ho anche la necessità di parlare con qualcuno.
È da troppo tempo che mi sento sola.
D’altronde ho passato una vita da sola, assediata da migliaia di volti e sorrisi, ma fondamentalmente sola.
Fino a un paio di mesi fa non potevo uscire di casa senza essere fermata dai ragazzini che mi chiedevano di farsi fotografare insieme a me, era una gran seccatura. Ora, talvolta, qualcuno mi guarda, strizza un po’ gli occhi, parlotta con chi ha di fianco e poi se ne va, scuotendo la testa.
Non immaginano che Frida Roberts possa essere vestita con una camicia di jeans e una minigonna con le tasche scucite.

Pensano che Frida non si siederebbe mai al bancone di una stazione del gas della Texaco per mangiare uova al bacon, con le unghie sporche e le gambe impolverate...


C.




mercoledì 5 agosto 2015

NON LUI.



NON LUI


Era bello  non essere come lui, non possedere ciò che aveva, non amare gli stessi colori,  non fare  i suoi sogni.
Era bello riuscire a non spendere le giornate come faceva lui, non rincorrere gli stessi desideri, non sperare le medesime cose, non affannarsi dietro ai suoi  ideali.
Era confortante sapere di essere diversi, forse sbagliati ma comunque diversi. Era consolante essergli lontano e interfacciarsi con problemi differenti.
Era un sollievo appartenere a una galassia differente, lontana al punto da apparire opaca.
Ero orgoglioso di poter stare da solo su questo tappeto d’erba, coperto da un manto di stelle, sotto un distillato di azzurro scuro, lontano da lui e da i suoi simili.
Ero onorato di essere immaginato come uno che non aveva nulla, spoglio, arido, inutile, mentre mi sentivo l ‘uomo più felice della terra, nell'immobile immensa bellezza della mia libertà.



C.


#writer #summer2015 #giovanbattistadachille #insìpirations #o2 #ilcustodediizu #elmisworld #holiday

IL CUSTODE DI IZU


IL CUSTODE DI IZU

Stavo galleggiando in profondità, lontano dalla superficie, nudo, e avevo di fronte quella creatura. Era meravigliosa, i suoi capelli inquieti, come le onde del mare in quel momento, si muovevano fluidi incorniciandole il viso, dando l’impressione di essere delle innocue murene che armonicamente le danzavano attorno.
Stordito e inebetito da quella danza ipnotica non mi resi immediatamente conto che si era fermata di fronte a me. Ebbi l’impressione che mi volesse dire qualcosa, la bocca si aprì ma non udii le parole, tutti i rumori erano attutiti, sentivo l’eco degli abissi.
Solo quando ebbi l’impressione che la sua bocca si stesse avvicinando alla mia in maniera inequivocabile, fui svegliato da Kazue...

C.










NILO E IL CAFFE'



NILO E IL CAFFÈ


Milano 15/08/2010

Ho sempre associato il caffè a una specie di cortocircuito. Al di là della bontà e del coinvolgimento che questi pochi decilitri di liquido scuro mi danno, ho sempre pensato al caffè come a un’interruzione, al blackout di pensieri, a una sorta di temporanea anestesia celebrale, all’oblio.
Mi incanto a fissare la luce azzurrina della fiamma del gas, mi perdo nei primi borbottii della caffettiera. Annuso l’insistente profumo che si sprigiona nella cucina, lo seguo con l’immaginazione mentre esce dalla porta di casa e si diffonde sul pianerottolo.
Ho il vezzo di tenere aperto il coperchio della caffettiera e appoggiare il cucchiaino dalla parte concava sulla cannula, o camino che dir si voglia, della moka, in modo da fare sprigionare di più l’aroma nell’aria.
Ho iniziato a berlo a sei anni.
I miei genitori, fanatici nottambuli...

C.

#christianocerasola #uovasbattute #estratti  #o2 #ilcustodediizu #summer2015 #writer #beardmen #inspirations #elmisworld

martedì 4 agosto 2015



#christianocerasola #inspiration #o2 #ilcustodediizu #cazzeggio #beradmen #writer #homeseek #giovabattistadachille

YURIKO



YURIKO



Ma che vene che mi sono venute! Sembra vogliano scappare fuori dalla pelle, non ho mai avuto delle vene così in rilievo.
Sarà per il caldo... e per i miei ottant’anni. Sono blu, anzi viola... se faccio attenzione posso vedere il flusso di sangue, pompato dal cuore, che ci scorre dentro. Il mio cuore. Imperterrito e indefesso continua a battere da una vita.
Senza darmi retta, insiste a battere, battere e battere... eppure di contraccolpi ne ha avuti parecchi. Ne ha passate tante anche lui. Lui ed io siamo sopravvissuti a una vita, alla vita, e siamo qui, che ci facciamo compagnia... detestandoci.
Sembrava che si fosse rassegnato a me, sembrava che si fosse arreso al non essere ascoltato. Credevo che continuasse a battere per inerzia, per eseguire un ordine prestabilito da chissà chi. Io non l’ho mai ascoltato e lui non ha mai ascoltato me. E continua a battere, instancabile.
Il resto del mio corpo accusa gli anni, non lui.

Sto perdendo la memoria, la vista si è abbassata, l’udito mi fa brutti scherzi e la pelle si è afflosciata, ma lui batte, pulsa come se fosse nel corpo di una giovinetta, battito dopo battito...


C.


#uovasbattute #elmisworld #christianocerasola #summer2015 #o2 #ilcustodediizu 

Olivier #uovasbattute






OLIVIER



Il Daparox con paroxetina lo ingoiavo con il caffè, poi mi fumavo una sigaretta, mi facevo un altro caffè e me ne fumavo un’altra.
Poi prendevo lo Zyprexa con olanzapina.
Raggiungevo così la quantità di veleno necessaria per uscire di casa e affrontare la giornata. Questo rito si è ripetuto tutte le mattine, tutti i giorni, per vent’anni.
Fino a sei mesi fa.
Ho scattato fotografie per vent’anni, una vita. Sono stato il migliore fotografo per due decenni, nessuno mi ha spodestato dal mio trono, hanno provato in molti, senza riuscirci, senza nemmeno avvicinarsi a me.
È che il mio era talento, inclinazione, disposizione. La mia era arte. Gli altri scattavano solo fotografie. Cercavano, illusoriamente, di fermare sulla pellicola un attimo, uno sguardo, un frammento, tentavano di impressionare la pellicola, senza venire impressionati dalla poesia, dalla luce. Stupidi. Concentrati su quello che inquadrava l’obiettivo ma miopi su tutto il resto. Ciechi. Sicuri e arroganti della loro arte, poverini, dispersi nell’illusione. Ma non io, consapevole custode di un dono più grande.                             
Io ero feroce e combattivo, abitavo in Rue du Faubourg Saint-Honoré a Parigi... 






C.

#giovanbattistadachille #sinesuite #christianocerasola  #o2  #ilcustodediizu  #elmisworld #summer2015 #uovasbattute 

lunedì 3 agosto 2015

LA FAVOLA DI UNA FONTANELLA


LA FAVOLA DI UNA FONTANELLA

Mi costruirono quasi cento anni fa, fui desiderata fortemente dal sindaco di quel tempo e ci fu un periodo dove, addirittura, mi costruirono un giardinetto attorno. Era bellissimo, in primavera sbocciavano fiori di ogni colore e in autunno si ricopriva di un tappeto di foglie gialle.
Poi cambiò l’urbanistica della zona e lo rimossero, ma io restai al mio posto, orgogliosa, zampillante.
Ero importante, dissetavo tutti.  Il mio compito era di pulire la sporcizia dei senzatetto, abbeverare i cani, e arrabbiarmi quando mi pisciavano addosso.
Quelli che mi piacevano di più erano i bambini, anche se talvolta mi maltrattavano, soprattutto d’estate.
Bisticciavano tra di loro e mi sfruttavano per spruzzarsi l’acqua o farsi i gavettoni, ma io ero comunque felice.
Le notti d’inverno, invece, erano lunghe. Passavo quei mesi in solitudine, ogni tanto la mia acqua ghiacciava ed io mi sentivo inutile. La gente mi passava di fianco e non mi guardava neanche, sembrava gli dessi fastidio, non c’era alcuna riconoscenza da parte di quegli stupidi, per non parlare di quando nevicava.
Poi ritornava la primavera, e i piani inclinati degli eventi giocavano a mio favore. Le persone riprendevano a sorridere e i cani a scodinzolare per correre dietro ai loro amori. In estate le scuole terminavano e le mamme apprensive accorrevano a me e riempivano le bottigliette d’acqua per i loro figli, quando il sole rifrangeva sui miei zampilli trasformava le mie gocce in oro, ero bellissima.
Gli zingari mi stavano accanto per lunghe ore, parlavamo, ed io li ascoltavo con curiosità. Avevano storie da raccontarsi e disgrazie dalle quali fuggire. Erano sempre presi dietro qualcosa.
Anche i vecchietti m’interessavano un bel po’, alcuni parlavano del mare, di cose che non avevo mai visto…
Ogni tanto qualche incauta vespa finiva per annegare, avrei voluto salvarla, ma io non potevo.
I colombi, invece, venivano a trovarmi con regolarità, sapevano di poter contare su di me. Anche se le mie preferite erano le formiche, sempre indaffarate, silenziose, disciplinate.
Nei giorni di agosto la città si svuotava e il silenzio prendeva il sopravvento, si sentiva solo il mio getto d’acqua che timidamente faceva da sottofondo a quegli attimi di pace, in quegli attimi m'immaginavo di essere un torrente, un fiume, una cascata...
Pochi giorni fa arrivarono tre uomini, uno aveva uno strano cappello in testa, li ascoltai: dicevano che la fermata della nuova metropolitana sarebbe stata costruita qua, proprio sotto di me. Parlavano con toni alti, fastidiosi, arroganti.
Sfogliavano carte, gettavano sigarette per terra, scalciavano con sdegno i ciottoli che mi circondavano, e che tanto piacevano alle formiche.
Il progetto era stato approvato e da lì a breve sarei stata smantellata. Come avrebbero fatto a bere tutti? E i cani e i piccioni? E le mie formiche?
Passai notti inquiete, tristi, osservai alcuni pensionati che attaccavano volantini attorno alla zona, per impedire che mi rimuovessero, ma nulla. Le mie speranze furono vane.
Oramai rassegnata, continuai a dare da bere ai miei animali abitudinari e a qualche passante della strada.
La notte scorsa, verso le tre di mattina, si avvicinò un uomo, non camminava dritto e stava piegato sul lato sinistro, era alto e aveva lo sguardo azzurro, mesto, e la barba lunga. La sottile scia che solcava le guance era il risultato di alcune lacrime versate, chissà per quale motivo?
Congiunse le mani, sotto il mio getto, e le riempì d’acqua fino a farla strabordare, poi con forza se la buttò sulla faccia. Ripeté il gesto per due volte, poi si accese una sigaretta.
La traccia delle lacrime sparì, e anche gli occhi abbandonarono il rossore e ripresero il loro colore. Accarezzò il sifone e s'inumidì, ancora, le mani. Fissò la pozzanghera che si era formata al mio fianco, e mentre si specchiò le labbra presero una piega diversa e si allargarono in un espressione più rilassata, un sorriso.
Io ero felice di essere riuscita a sciacquare via i suoi pensieri.
Alzò lo sguardo verso di me e disse: “ Io scriverò di te, non ti lascerò sparire così, parlerò di quello che hai fatto e il mio racconto sopravvivrà al tuo destino”.
Aggiunse: “ Sono uno che scrive, sai?  La gente penserà che sia matto, ma non m’importa nulla, ti darò la parola, e un'anima, e ricorderò a tutti la tua storia. Ciao fontanella, magari in un'altra vita ci rincontreremo, e mi farai sorridere ancora”.

C.

 #ilcustodedeizu #o2
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domenica 2 agosto 2015

SINEAD AND JANE


SINEAD E JANE

Sinead teneva gli occhi socchiusi, il vento le faceva vibrare le folte ciglia, l’aria le sfiorava la testa rasata le raffreddava la nuca, le gelava le mani.
Accovacciata per terra, stringeva le ginocchia al mento, tremava. L’effetto della pasticca stava calando, l’alba taglieggiata dalle nuvole non era carica di buone promesse, il cielo grigio la soffocava, per quel motivo teneva le palpebre serrate. La linearità dei pensieri risucchiata nella spirale della follia.
Le prime persone, intabarrate in pesanti cappotti, le passavano accanto e la osservavano con disprezzo, i loro volti si tendevano in espressioni di sdegno, facce contrite, ghigni sarcastici, sguardi impietosi. Le donne stringevano al petto la loro borsetta, in preda a un atavico condizionamento che la classificava come un reietto, uno scarto, una ladra.
Sinead se ne fregava, aveva in mente altro, tutt’altro.
Pensava a Jane, ai suoi occhi liquidi, al suo volto da bambola. Poche ore prima danzavano felici, inebriate, ubriache. Drogate.
La musica le trafisse come un dardo che attraversa la carne, i sensi sublimati nella follia dell’emozione, le cellule cerebrali soggiogate dalla chimica, la seducente bellezza del pericolo che le attanagliava.
Jane e Sinead si amarono per lo spazio di una sera, come due fiere schiave del loro istinto primordiale. Disinteressate allo spazio, al tempo, vittime di loro stesse, ingiudicabili, incondannabili. Sincere, giovani, pure, belle.
Le fibre dei loro corpi mescolate, dissolute, diluite. Brividi piatti.
L’euforia raggiunse un livello tale da essere insopportabile, nessuna delle due sapeva, entrambi incoscienti e poco lungimiranti che le conseguenze di troppe emozione  si sarebbero, necessariamente, dovute pagare.
Si paga per ciò che non si commette, immaginate per la felicità…
Il prezzo era il distacco, la fuga, la paura.
Il timore della bellezza, il terrore che finisca, la vigliaccheria dell’essere umano, la codardia della giovinezza.
La mente impartì ordini a Sinead, le disse: “ Scappa, fuggi stupida, non restare qui. Che ti può dare lei se non dolore? Vattene via!”
E così fu, Sinead si allontanò da Jane, il distacco fu graduale ma irreversibile. Le luci stroboscopiche confusero la vista, la musica techno disturbò l’udito, l’ecstasy amplificò l’amaro  di quell'addio. Sapore di ruggine, odore di spazzatura, rumore scomposto.
Sinead se ne andò, sospinse le persone, urtò contro la gente, vomitò in un angolo per poi riprendere a scappare. Fuggiva da Jane, da se stessa, da un futuro dai colori pastello, dai milioni di luoghi comuni, di storie già raccontate, di vite già vissute.
Sinead credeva di essere forte, sfoderava il suo egoismo con orgoglio, sovrapponeva alibi e se ne convinceva, era pura anche in questo.
Anche se quel mattino, a pochi metri da quella discoteca, sdraiata sull'asfalto della 42esima strada il pensiero che cautamente ha tenuto sopito, per tutti i suoi ventiquattro anni, le inonda le viscere e risale dal suo inconscio, con la violenza di un conato di vomito, e' un rigurgito che arriva  fino a farle bruciare i polmoni, la gola e il cuore. L'anima.
L’implacabile verità la assale e la avvolge fino a soffocarla, è difficile ammettere di aver sbagliato, è faticoso abbassare il capo, è umiliante contraddirsi, è inammissibile il fallimento. Soprattutto quando è impossibile tornare indietro.
Sinead si guarda in giro, tiene gli occhi bassi, mesti, allunga la sua mano sul marciapiede freddo e ci batte il palmo della mano provocando un rumore sordo. Rimane così, come una stella filante inutilizzata, dimenticata da un carnevale oramai passato. Ferma. 
Salva, ma sconfitta.

C.

Drive boy dog boy
Dirty numb angel boy
In the doorway boy
She was a-lipstick boy
She was a-beautiful boy
And tears boy
And all in your inner space boy
You had hands girls boy
And steel boy
You had chemicals boy...

Feat.  Trainspotting




LA TARANTOLA



LA TARANTOLA


Adriano aspettava lì fermo, in macchina, col motore acceso.
Teneva l’aria condizionata al massimo, perche sapeva che lei soffriva il caldo, spazzolava il sedile che l’avrebbe accolta tra pochi istanti.
Lei era in ritardo, lo era sempre.
Di proposito si faceva aspettare, come per ricordargli chi era che decideva, chi scandiva il tempo, chi sceglieva, chi comandava.
Adriano attendeva, con le mani sudaticce e le pupille dilatate, il suo amore.
Si osservava a intermittenza nello specchietto retrovisore che gli ricordò di come era fatto. Adriano detestava i suoi pochi capelli, le rughe attorno agli occhi, le guance molli e le sue labbra sottili.
Odiava di essere prigioniero del suo corpo e si struggeva l’anima di non riuscire a piacere alla sua donna.
Adriano si curava, cercava di mantenersi giovane, si vestiva bene, tentava di darsi un tono e di sopperire alla sua mancanza affilando le armi della simpatia o del carisma, ma niente.
Spesso si rifugiava nel proprio bagno e, con la porta chiusa a chiave, si corrucciava di fronte allo specchio. Si faceva domande alle quali non voleva rispondere, ignorava la realtà, guardava altrove, si concentrava su inezie, pur di non darsi la soluzione.
Quando uscivano assieme, lui si faceva da parte, non voleva esserle d’intralcio, non desiderava brillare di luce riflessa e lasciava la sua amata risplendere, da sola. Le camminava un passo indietro e le lasciava spazio, rispettava il ruolo di chi era nata per essere protagonista.
E lei brillava, irretiva chiunque, ammaliava tutti, era venuta al mondo per questo. Dominava, attirava, affascinava, flirtava, tradiva.
Lui sapeva e taceva, accettava e perdonava, amava in silenzio. E soffriva.
Lei era bella e cattiva, come solo le donne vendicative sanno esserlo. Lo era con tutti: con chi decideva di usare e con chi sceglieva di farsi amare. Malvagia.
Adriano le si era avvicinato  con timidezza, in una sera d’inverno lei aveva acconsentito alla sua corte e lo aveva illuso di ascoltarlo, il calice di vino rosso aveva fluidificato quella pantomima.
Adriano le regalò i vini più pregiati, le bottiglie più costose, i soldi sudati e il tempo, per dilatare quell'attimo.
Ma non riuscì.
Subito lei si rivelò per quello che era, già dal giorno dopo.
E lui sprofondò, e capitolò, come un inerme insetto nella morsa di una tarantola.
Una farfalla imprigionata, un pesce piccolo nella rete, un cardellino impallinato, un topo nella trappola.
Un uomo innamorato.

C.

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Buona estate.

sabato 1 agosto 2015

1° agosto



Il primo giorno del mese di agosto, verso mezzogiorno, Giona si alzò dal letto e iniziò a sospirare senza rendersi conto che era in vacanza.
Ritrattò il sospiro con un mugugno e si diresse in cucina, scalzo, per riscaldarsi il caffèlatte.
Strisciò i piedi sulle mattonelle fredde e il suo cattivo umore s’impennò.
Le strisce di sole che filtravano dalle persiane gli tagliarono il viso con lame di luce. L’odore del cielo si faceva spazio attraverso quei sottili spiragli.
Gli occhi ancora assonnati combatterono per aprirsi e accettare quella sublimazione di energia che è l’estate.
Era passato l’inverno, una stagione cupa, piena di troppi chiaroscuri. Uno stupido inverno scandito da cappotti, metropolitane, caffè fumanti e tante chiacchiere dissolte nella nebbia.
Mesi passati ad aspettare a una pausa, che fosse un fine settimana, una festa comandata o un contrattempo che lo obbligasse a staccare per qualche ora. Giorni spesi nella ricerca di un’emozione, una gioia, un amore che tardava ad arrivare.
Il riflesso del suo volto tremolava, sulla superficie liquida del caffèlatte, la sagoma era sempre la stessa ma aveva i capelli più lunghi e pareva che i contorni del suo viso fossero meno fermi di come li ricordava.
Il fumo, dalla tazza, trasportò l’aroma alle sue narici e lo ridestò, improvvisamente.
Fu come svegliarsi di colpo, di soprassalto, la linfa vitale di Giona rifluì nelle  vene e irrorò tutto il suo corpo. Le immagini dell’inverno passato acquistarono la tipica patina delle vecchie polaroid e furono archiviate tra i numerosi ricordi di un’infantile mente malinconica.
Giona spalancò gli occhi e trangugiò la sua bevanda tutta di un fiato, sprezzante, e si passò il dorso della mano sulla bocca.
Spalancò le persiane con violenza e si fece inondare dall’estate, dal colore, dal vento, dalla bellezza, dal caos.
Dispiegò le sue ali, pronto per riprendere quello che aveva interrotto un anno fa.
Riassesto i capelli, stropicciò gli occhi, si accarezzò il volto. Sorrise.
Giona scelse di gioire ancora, in fondo c’era ancora tanto azzurro da vedere.


Buona estate a tutti.

C.          ‪#‎writer‬ ‪#‎christianocerasola‬ ‪#‎books‬ ‪#‎inspirations‬ #ilcustodediizu #o2 #summer2015