Lettori fissi
mercoledì 23 dicembre 2015
martedì 22 dicembre 2015
domenica 20 dicembre 2015
L'oste che voleva parlare.
L'oste che voleva parlare.
In un pomeriggio d’inverno, in quelli dove la
nebbia è a mezz’aria e luce bianca e piatta confonde i lineamenti delle
persone, mi recai in un'osteria in provincia di Modena.
Mi accomodai in un tavolo vuoto e spazzai, con
il palmo della mano, tutte le briciole che c’erano sull’orrenda cerata celeste, la televisione, tenuta senza volume,
trasmetteva immagini disordinate.
Ordinai un bicchiere di vino che l’oste, con
fare stanco, mi portò immediatamente.
Era un anziano signore le cui mani grosse e
rovinate tradivano un lungo passato di lavoro e di fatica.
Fissai il suo viso che, a differenza di quello degli abitanti di quel paese, era tridimensionale e particolarmente affilato. Era un vecchio uomo annoiato dalla poca frequenza di clienti.
Lui mi osservò con attenzione, classificandomi come un forestiero troppo ben vestito per essere lì.
Fissai il suo viso che, a differenza di quello degli abitanti di quel paese, era tridimensionale e particolarmente affilato. Era un vecchio uomo annoiato dalla poca frequenza di clienti.
Lui mi osservò con attenzione, classificandomi come un forestiero troppo ben vestito per essere lì.
Non aspettò il mio ringraziamento e disse, senza staccare gli occhi dal bicchiere, approfittando della mia inaspettata compagnia:
“ Gli esperti viticoltori sostengono che per
produrre il vino migliore è necessario maltrattare la vigna un po'.
Una volta trascurata, assetata, si
stimolano le radici a scavare e penetrare nei substrati più profondi del
terreno per mineralizzarsi maggiormente, e continuare a sopravvivere.
Solo in questo modo si ottengono un frutto
pregiato e di conseguenza un vino migliore.
L’apparente noncuranza, dei contadini esperti,
conduce alla produzione del nettare più dolce, di contro un inefficace assillo
rende le piante deboli, vulnerabili e soggette alle numerose malattie.
La tua vita, probabilmente, è un veloce
tratteggio di pennelli che ti fa apparire come un quadro di un pittore
realista. Un insieme di colori, come il rosso cupo del vino e il grigio del tuo
impermeabile,e ancora il verde dei miei occhi o il bianco dei miei pochi
capelli.
I meandri della tua mente, e quelli della mia,
come le radici dei filari delle viti, hanno solcato i terreni più profondi, e
ombrosi, dei sogni per ossigenarsi e cercare le domande, quelle giuste
intendo. Spero solo che tu sia riuscito ad avere la lucidità di trovare anche
le risposte. Come me”.
sabato 12 dicembre 2015
IL MUSICISTA.
"Pensai che in ognuno di noi risiede una sfera di sfocata intimità, difficile a trasmettere con le parole, una zona d'ombra che ai più sciocchi non si manifesta nemmeno.
Chi, però, ne acquistava consapevolezza, tentava di trovarne sollievo cercando di trasmetterla.
Ma come spesso non era chiara a noi, mi chiedevo, come lo potesse diventare per gli altri?
La mia musica amplificava i sensi di chi ascoltava e faceva vedere, da lontano, quel segreto terreno dal quale germogliavano fiori.
Forse Sandro aveva visto, e sapeva di non poter capire, per questo mi abbandonò così velocemente, arreso a ciò che era inevitabile..."
Chi, però, ne acquistava consapevolezza, tentava di trovarne sollievo cercando di trasmetterla.
Ma come spesso non era chiara a noi, mi chiedevo, come lo potesse diventare per gli altri?
La mia musica amplificava i sensi di chi ascoltava e faceva vedere, da lontano, quel segreto terreno dal quale germogliavano fiori.
Forse Sandro aveva visto, e sapeva di non poter capire, per questo mi abbandonò così velocemente, arreso a ciò che era inevitabile..."
domenica 29 novembre 2015
YURIKO
YURIKO
Mi ricordo solo delle cose stupide, mi
ricordo di essere stata una stupida quindicenne. Ma credo anche di essere stata
una stupida diciassettenne e una stupida trentenne e una stupida cinquantenne...
sono stata stupida per tutta la vita.
Sono stata stupida a non volere più
cercare Daisuke, stupida a sposarmi con Yutaka, stupida a dare al mondo Rie e
Shio.
Io sono una stupida.
Il mio cuore ha tentato di avvisarmi,
ininterrottamente, ha cercato di ricordarmi quello che avrei dovuto fare. Ma io
l’ho ignorato, persa nel benessere e nell’agiatezza.
Ho preferito fare le vacanze a
Shimoda o alle isole Hawaii, celebrare i miei compleanni con regali costosi, accerchiata
da una folla che adorava e invidiava la perfezione, apparente, della mia
famiglia. Intanto lui pulsava e mi chiamava, ma io guardavo altrove.
Quando ci trasferimmo a Tokyo tutto
divenne ancor più superficiale, tutto e tutti. Yutaka, Rie, Shio, ed io. Tutto
divenne come le confezioni di plastica che nascondono un cibo finto. Quelle
confezioni che si trovano nei supermercati, bellissime, colorate, attraenti.
Irresistibili.
Tutto divenne come quelle scatole di
ramen con
disegnati sopra i personaggi dei cartoni animati o dei manga. Contenitori che
non contengono nulla.
L’artificialità che offusca la
realtà.
Così la profondità dei miei
sentimenti è stata soggiogata dall’artificiosità delle stupidaggini. Questa è
stata la vita di mio marito, delle mie figlie e del mio gatto, questa è stata
la mia vita.
mercoledì 18 novembre 2015
lunedì 16 novembre 2015
domenica 1 novembre 2015
giovedì 29 ottobre 2015
domenica 6 settembre 2015
martedì 18 agosto 2015
SCRAMBLED EGGS IN JAIL
SCRAMBLED EGGS IN JAIL
È Pilar, la cuoca. Sono quarantadue
anni che vive in America e non ha ancora imparato una parola di inglese. Sono
quarantadue anni che prepara il cibo per i carcerati di questa prigione e che
non riesce a trovare le parole per dire un “addio” come si deve.
D’altronde come si fa a dire “addio”
come si deve?
Le sue uova strapazzate hanno un
profumo che stordisce, riescono a farmi venire l’acquolina in bocca, nonostante
tutto.
- Adios, amigo
Sam, adios...
- Adios
Pilar, adios...
Non una lacrima, non un sospiro, non
un trasalimento.
Questa donnona messicana fa questo
lavoro da troppo tempo.
Me la immagino alzarsi la mattina, sgridare
i bambini, togliere la bottiglia di rum dalle labbra del marito, sciacquarsi le
ascelle, prendere la corriera e venire in prigione.
Quando arriva nelle cucine inizia a
pelare quintali di patate, buttare i broccoli nell’acqua bollente, spennare
intere generazioni di polli e tacchini, rompere migliaia di uova e servire i
pasti ai rifiuti della società.
Poi ogni tanto capita il condannato
a morte.
Oggi, nello specifico, tocca a me.
- Ehm... están muy buenos los huevos...
- Chissà se capisce?
Chissà che ho detto? Beh! Anche se non ha
capito non credo sia il peggiore dei problemi di questa breve giornata...
Sono le tre di pomeriggio, mi sono
sempre chiesto...
....
lunedì 17 agosto 2015
OLIVIER
. Adesso desidero vivere e guardare
il mondo che c’è oltre l’obiettivo. Innamorarmi della luce, osservare come
illumina, talvolta dolcemente, talvolta violentemente, i volti della gente, il
mare, le mie mani. Voglio guardare il cielo e il mondo, senza fotografarlo... senza
condividerlo con altri. Guardarlo e tenerlo solo per me.
Tradendo la mia amante.
Dormo spesso lungo il Tapis-Vert, giro
tra i boschi, mi fermo sotto gli alberi. E penso.
Ogni tanto mi incanto ad ammirare il
“bacino di Apollo”. È la fontana più bella di Parigi. Osservo quel dio che esce
dalle acque, i cavalli dall’espressione furiosa, i tritoni che soffiano dentro
le loro conchiglie per annunciare il suo arrivo. Apollo purificava dai mali
fisici e morali. Apollo illuminava il cielo, dominava la luce. La luce...
Come Ulisse mi sono fatto crescere
la barba e i capelli lunghi. Come Ulisse ha combattuto contro mostri e creature
dell’Ade, così io ho immortalato i potenti e mi sono destreggiato, con abilità,
tra i malvagi.
Ma a differenza di Ulisse che, partito
controvoglia per combattere la guerra di Troia, le ha tentate tutte per tornare
nella sua Itaca, io ho scelto di non tornare. Ho scelto di lasciarmi andare e
di appartenere a questo mondo. In maniera assoluta. Nell’unica maniera
possibile.
venerdì 14 agosto 2015
giovedì 13 agosto 2015
JENNY E LA METAMORFOSI DI NARCISO
JENNY E LA METAMORFOSI DI NARCISO
Tutte le mattine, da quindici anni a
questa parte, esco di casa e prendo il 35 barrato. Mi fermo dieci minuti alla
fermata del tram ad ascoltare i musicisti zingari che sanno suonare solo il “Canone
in Re maggiore” di Pachelbel e do loro una monetina.
Raggiungo l’ufficio e lavoro sodo, guadagno
uno stipendio dignitoso e passo le vacanze in montagna con i miei genitori, festeggio
i natali e i compleanni e vado a dormire insoddisfatta. Questo succede perché
non mi piaccio.
Ho avuto una famiglia unita, un’infanzia
all’insegna del profumo d’amore, un paio di fidanzati, un cane. Ho avuto tutto
quello che si dovrebbe avere, ma mai la bellezza.
Ho studiato parecchio, mi sono
massacrata al liceo classico, alla facoltà di filosofia e ai vari master. Hanno
cercato di annientarmi con esami, prove e test, ma sono riuscita a sopravvivere
a tutto.
Ho imparato a guardare le cose sotto
ogni prospettiva, prendere il bene dal male, e il male dal bene . Considerare
tutto e il contrario di tutto.
La mia testa ha macinato riflessioni
e pensieri, astratti e concreti; ho anche scritto un saggio che è stato
pubblicato dalla casa editrice universitaria. Un saggio che viene preso a
modello dagli studenti... pensa un po’!
Mi è stato insegnato come penetrare a profondo nei
dialoghi e soppesare le parole, capire prima degli altri... e usare quest’arma
a mio favore. Mi è stato insegnato di tutto. Troppo.giovedì 6 agosto 2015
FRIDA ROBERTS
FRIDA
ROBERTS
“I walk a lonely road
The only one that I have ever known
Don’t know where it goes
But it’s home to me and I walk alone...”
È la quarta volta che mettono questa
canzone dei Green Day, mi sta
uccidendo!
Si dev’essere inceppato il cd.
- Signorina?
- Si?
- Ehm... guardi che si dev’essere
rotto il vostro lettore cd... continua a bloccarsi su Boulevard of broken dreams.
- Sissignora, ha ragione... è che mi
piace tanto questa canzone che l’ascolterei all’infinito! Ora vado a rimediare...
cosa desidera nel frattempo?
- Uhm, vediamo... una Coca-Cola
light, delle uova con la pancetta e un paio di fette di pane tostato... ah, e
del caffè... nero, per favore.
- Ok, torno subito.
- Ah, un’altra cosa: che giorno è
oggi? Il ventisette o il ventotto?
- Uhm... oggi è il ventisette, il
ventisette luglio. Non vuole che le porti USA
Today, per caso?
- No, no... grazie, preferisco di
no.
Il ventisette luglio di un
famigerato duemilaundici, ecco che giorno è oggi. È già più di un mese che
passo di motel in motel. Mi sono sempre piaciute le gas-station sulle
autostrade, ma mai avrei pensato di passarci così tanto tempo.
Al momento non mi sembra di avere
alternativa, è già un miracolo che non mi abbiano vista. Eppure ho anche smesso
di indossare la parrucca nera e gli occhiali... chissà perché, poi. Magari, dentro
di me, spero di essere riconosciuta. Ho anche la necessità di parlare con
qualcuno.
È da troppo tempo che mi sento sola.
D’altronde ho passato una vita da
sola, assediata da migliaia di volti e sorrisi, ma fondamentalmente sola.
Fino a un paio di mesi fa non potevo
uscire di casa senza essere fermata dai ragazzini che mi chiedevano di farsi
fotografare insieme a me, era una gran seccatura. Ora, talvolta, qualcuno mi
guarda, strizza un po’ gli occhi, parlotta con chi ha di fianco e poi se ne va,
scuotendo la testa.
Non immaginano che Frida Roberts
possa essere vestita con una camicia di jeans e una minigonna con le tasche
scucite.
Pensano che Frida non si siederebbe
mai al bancone di una stazione del gas della Texaco per mangiare uova al bacon,
con le unghie sporche e le gambe impolverate...
C.
mercoledì 5 agosto 2015
NON LUI.
NON LUI
Era bello non essere come lui, non possedere ciò che aveva,
non amare gli stessi colori, non fare i suoi sogni.
Era bello
riuscire a non spendere le giornate come faceva lui, non rincorrere gli stessi
desideri, non sperare le medesime cose, non affannarsi dietro ai suoi ideali.
Era confortante
sapere di essere diversi, forse sbagliati ma comunque diversi. Era consolante
essergli lontano e interfacciarsi con problemi differenti.
Era un
sollievo appartenere a una galassia differente, lontana al punto da apparire
opaca.
Ero
orgoglioso di poter stare da solo su questo tappeto d’erba, coperto da un manto
di stelle, sotto un distillato di azzurro scuro, lontano da lui e da i suoi
simili.
Ero onorato
di essere immaginato come uno che non aveva nulla, spoglio, arido, inutile, mentre
mi sentivo l ‘uomo più felice della
terra, nell'immobile immensa bellezza della mia libertà.
C.
#writer #summer2015 #giovanbattistadachille #insìpirations #o2 #ilcustodediizu #elmisworld #holiday
IL CUSTODE DI IZU
IL CUSTODE DI IZU
Stavo galleggiando in
profondità, lontano dalla superficie, nudo, e avevo di fronte quella creatura. Era
meravigliosa, i suoi capelli inquieti, come le onde del mare in quel momento,
si muovevano fluidi incorniciandole il viso, dando l’impressione di essere
delle innocue murene che armonicamente le danzavano attorno.
Stordito e inebetito da
quella danza ipnotica non mi resi immediatamente conto che si era fermata di
fronte a me. Ebbi l’impressione che mi volesse dire qualcosa, la bocca si aprì
ma non udii le parole, tutti i rumori erano attutiti, sentivo l’eco degli
abissi.
Solo quando ebbi
l’impressione che la sua bocca si stesse avvicinando alla mia in maniera
inequivocabile, fui svegliato da Kazue...
C.
#writer #christianocerasola #books #inspirations #ilcustodediizu #elmisworld
#o2 #summer2015
#o2 #summer2015
NILO E IL CAFFE'
NILO E IL CAFFÈ
Milano 15/08/2010
Ho sempre associato il caffè a una specie di
cortocircuito. Al di là della bontà e del coinvolgimento che questi pochi
decilitri di liquido scuro mi danno, ho sempre pensato al caffè come a un’interruzione,
al blackout di pensieri, a una sorta di temporanea anestesia celebrale, all’oblio.
Mi incanto a fissare la luce azzurrina della fiamma
del gas, mi perdo nei primi borbottii della caffettiera. Annuso l’insistente
profumo che si sprigiona nella cucina, lo seguo con l’immaginazione mentre esce
dalla porta di casa e si diffonde sul pianerottolo.
Ho il vezzo di tenere aperto il coperchio della
caffettiera e appoggiare il cucchiaino dalla parte concava sulla cannula, o
camino che dir si voglia, della moka, in modo da fare sprigionare di più l’aroma
nell’aria.
Ho iniziato a berlo a sei anni.
I miei genitori, fanatici nottambuli...C.
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martedì 4 agosto 2015
YURIKO
YURIKO
Ma che vene che mi sono venute!
Sembra vogliano scappare fuori dalla pelle, non ho mai avuto delle vene così in
rilievo.
Sarà per il caldo... e per i miei
ottant’anni. Sono blu, anzi viola... se faccio attenzione posso vedere il flusso
di sangue, pompato dal cuore, che ci scorre dentro. Il mio cuore. Imperterrito
e indefesso continua a battere da una vita.
Senza darmi retta, insiste a battere,
battere e battere... eppure di contraccolpi ne ha avuti parecchi. Ne ha passate
tante anche lui. Lui ed io siamo sopravvissuti a una vita, alla vita, e siamo
qui, che ci facciamo compagnia... detestandoci.
Sembrava che si fosse rassegnato a
me, sembrava che si fosse arreso al non essere ascoltato. Credevo che
continuasse a battere per inerzia, per eseguire un ordine prestabilito da
chissà chi. Io non l’ho mai ascoltato e lui non ha mai ascoltato me. E continua
a battere, instancabile.
Il resto del mio corpo accusa gli
anni, non lui.
Sto perdendo la memoria, la vista si
è abbassata, l’udito mi fa brutti scherzi e la pelle si è afflosciata, ma lui
batte, pulsa come se fosse nel corpo di una giovinetta, battito dopo battito...
C.
#uovasbattute #elmisworld #christianocerasola #summer2015 #o2 #ilcustodediizu
Olivier #uovasbattute
OLIVIER
Il Daparox con paroxetina lo
ingoiavo con il caffè, poi mi fumavo una sigaretta, mi facevo un altro caffè e
me ne fumavo un’altra.
Poi prendevo lo Zyprexa con olanzapina.
Raggiungevo così la quantità di
veleno necessaria per uscire di casa e affrontare la giornata. Questo rito si è
ripetuto tutte le mattine, tutti i giorni, per vent’anni.
Fino a sei mesi fa.
Ho scattato fotografie per vent’anni,
una vita. Sono stato il migliore fotografo per due decenni, nessuno mi ha
spodestato dal mio trono, hanno provato in molti, senza riuscirci, senza
nemmeno avvicinarsi a me.
È che il mio era talento, inclinazione,
disposizione. La mia era arte. Gli altri scattavano solo fotografie. Cercavano,
illusoriamente, di fermare sulla pellicola un attimo, uno sguardo, un frammento,
tentavano di impressionare la pellicola, senza venire impressionati dalla
poesia, dalla luce. Stupidi. Concentrati su quello che inquadrava l’obiettivo
ma miopi su tutto il resto. Ciechi. Sicuri e arroganti della loro arte, poverini,
dispersi nell’illusione. Ma non io, consapevole custode di un
dono più grande.
Io ero feroce e combattivo, abitavo in Rue du
Faubourg Saint-Honoré a Parigi...
C.
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