LA FAVOLA DI UNA FONTANELLA
Mi costruirono
quasi cento anni fa, fui desiderata fortemente dal sindaco di quel tempo e ci fu un
periodo dove, addirittura, mi costruirono un giardinetto attorno. Era
bellissimo, in primavera sbocciavano fiori di ogni colore e in autunno si ricopriva
di un tappeto di foglie gialle.
Poi cambiò l’urbanistica
della zona e lo rimossero, ma io restai al mio posto, orgogliosa, zampillante.
Ero importante,
dissetavo tutti. Il mio compito era di
pulire la sporcizia dei senzatetto, abbeverare i cani, e arrabbiarmi quando mi
pisciavano addosso.
Quelli che
mi piacevano di più erano i bambini, anche se talvolta mi maltrattavano,
soprattutto d’estate.
Bisticciavano
tra di loro e mi sfruttavano per spruzzarsi l’acqua o farsi i gavettoni, ma io ero comunque
felice.
Le notti d’inverno,
invece, erano lunghe. Passavo quei mesi in solitudine, ogni tanto la mia acqua
ghiacciava ed io mi sentivo inutile. La gente mi passava di fianco e non mi
guardava neanche, sembrava gli dessi fastidio, non c’era alcuna riconoscenza da
parte di quegli stupidi, per non parlare di quando nevicava.
Poi
ritornava la primavera, e i piani inclinati degli eventi giocavano a mio
favore. Le persone riprendevano a sorridere e i cani a scodinzolare per correre
dietro ai loro amori. In
estate le scuole terminavano e le mamme apprensive accorrevano a me e
riempivano le bottigliette d’acqua per i loro figli, quando il sole rifrangeva
sui miei zampilli trasformava le mie gocce in oro, ero bellissima.
Gli zingari
mi stavano accanto per lunghe ore, parlavamo, ed io li ascoltavo con curiosità.
Avevano storie da raccontarsi e disgrazie dalle quali fuggire. Erano sempre
presi dietro qualcosa.
Anche i
vecchietti m’interessavano un bel po’, alcuni parlavano del mare, di cose che
non avevo mai visto…
Ogni tanto
qualche incauta vespa finiva per annegare, avrei voluto salvarla, ma io non
potevo.
I colombi, invece,
venivano a trovarmi con regolarità, sapevano di poter contare su di me. Anche
se le mie preferite erano le formiche, sempre indaffarate, silenziose,
disciplinate.
Nei giorni
di agosto la città si svuotava e il silenzio prendeva il sopravvento, si
sentiva solo il mio getto d’acqua che timidamente faceva da sottofondo a quegli
attimi di pace, in quegli attimi m'immaginavo di essere un torrente, un fiume, una cascata...
Pochi giorni
fa arrivarono tre uomini, uno aveva uno strano cappello in testa, li ascoltai: dicevano
che la fermata della nuova metropolitana sarebbe stata costruita qua, proprio
sotto di me. Parlavano con toni alti, fastidiosi, arroganti.
Sfogliavano carte,
gettavano sigarette per terra, scalciavano con sdegno i ciottoli che mi
circondavano, e che tanto piacevano alle formiche.
Il progetto
era stato approvato e da lì a breve sarei stata smantellata. Come avrebbero
fatto a bere tutti? E i cani e i piccioni? E le mie formiche?
Passai notti
inquiete, tristi, osservai alcuni pensionati che attaccavano volantini attorno
alla zona, per impedire che mi rimuovessero, ma nulla. Le mie speranze furono
vane.
Oramai rassegnata,
continuai a dare da bere ai miei animali abitudinari e a qualche passante della
strada.
La notte
scorsa, verso le tre di mattina, si avvicinò un uomo, non camminava dritto e
stava piegato sul lato sinistro, era alto e aveva lo sguardo azzurro, mesto, e
la barba lunga. La sottile scia che solcava le guance era il risultato di
alcune lacrime versate, chissà per quale motivo?
Congiunse le
mani, sotto il mio getto, e le riempì d’acqua fino a farla strabordare, poi con
forza se la buttò sulla faccia. Ripeté il gesto per due volte, poi si accese
una sigaretta.
La traccia
delle lacrime sparì, e anche gli occhi abbandonarono il rossore e ripresero il
loro colore. Accarezzò il sifone e s'inumidì, ancora, le mani. Fissò la
pozzanghera che si era formata al mio fianco, e mentre si specchiò le labbra
presero una piega diversa e si allargarono in un espressione più rilassata, un
sorriso.
Io ero
felice di essere riuscita a sciacquare via i suoi pensieri.
Alzò lo
sguardo verso di me e disse: “ Io scriverò di te, non ti lascerò sparire così,
parlerò di quello che hai fatto e il mio racconto sopravvivrà al tuo destino”.
Aggiunse: “
Sono uno che scrive, sai? La gente
penserà che sia matto, ma non m’importa nulla, ti darò la parola, e un'anima, e
ricorderò a tutti la tua storia. Ciao fontanella, magari in un'altra vita ci
rincontreremo, e mi farai sorridere ancora”.
C.
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